Modalità e fini differenti per delitti con un unico esito: annientare il proprio futuro. La società dovrebbe interrogarsi sui moderni ruoli genitoriali e la loro responsabilizzazione

Nella cronaca delle ultime settimane le notizie riguardanti gli infanticidi sembrano rincorrersi all’impazzata, in una sequenza tanto sconvolgente quanto allarmante. In pochi giorni si sono succeduti eventi – seppur compiuti con modalità e fini diversi – per mano della stessa categoria di persone: i genitori, ovvero coloro che, più di altri, dovrebbero difendere i bambini. Di fronte a questa escalation, la nostra società non può più permettersi di fare finta di nulla.

Questi i fatti più salienti. Santa Croce Camerina (Ragusa), 29 novembre 2014: il corpo strangolato di Loris Stival, 8 anni, viene ritrovato in un canalone. Del brutale omicidio viene accusata la madre Veronica Panarello – attualmente in carcere – che continua a proclamarsi innocente. La donna ha dato prova di troppe incongruenze e nemmeno il marito e la famiglia sembrano crederle. Le autorità stanno indagando su un eventuale complice. Bordighera (Imperia), notte tra 9 e 10 dicembre 2014: il cadavere di Semyon – di appena 10 mesi – viene rinvenuto nelle gelide acque del mare antistante Bussana, frazione di Sanremo. La mamma, Natalia Sotnikova, una russa in vacanza in un lussuoso hotel, confessa l’omicidio con parole agghiaccianti: ha deliberatamente ucciso il figlio perché convinta che soffrisse di crisi epilettiche e di schizofrenia. Rapallo (Genova): un trentasettenne, Alessio Loddo, dopo aver massacrato a pugni l’ex compagna, Gisella Mazzoni, la finisce con due coltellate. Poi, prende in braccio il figlio di un anno e con lui si getta dalla finestra dell’appartamento sito all’ultimo piano del palazzo. E, se si torna indietro di una quindicina di anni, la lista è lunga, fino a ritrovare il più celebre di tutti, il cosiddetto “delitto di Cogne”.

In merito alle cause che scatenano gesti così estremi vi sono diverse teorie, che in questa sede non desideriamo analizzare. Ultimamente, i salotti televisivi sono affollati di esperti in psichiatria, psicologia e criminologia: ognuno fornisce una spiegazione secondo il proprio punto di vista, in qualità di specialista in materia, poiché non vi è una interpretazione universale che riesca a giustificare tali omicidi né che possa alleviare lo sgomento di chi segue tali approfondimenti sul piccolo schermo. Una cosa è però certa: lo scopo primario dell’omicida – spesso vissuto a livello inconscio – è quello di infliggere una pena terribile a se stessi prima che agli altri. Chi compie un infanticidio distrugge il suo futuro, la sua discendenza. Pone fine al proprio patrimonio più prezioso e intoccabile: il sangue del suo sangue.

Non basta rimanere attoniti di fronte a notizie così sconvolgenti. Dobbiamo consolidare in noi e far capire alle giovani generazioni l’idea e il sentimento che l’infanticidio è e rimane un atto contro natura. Occorre inoltre chiederci quanto la mente umana possa essere condizionata dal’improvvisa responsabilizzazione che inevitabilmente il ruolo di genitore comporta e in che misura incida la altrettanto repentina mancanza di libertà di una neomamma. La tollerabilità della nuova dimensione di un’esistenza che deve innanzi tutto affrontare gli impellenti bisogni di un figlio è piuttosto soggettiva. Domandiamoci ancora quanto condizioni una violenza subìta in gioventù o, più in generale, un’infanzia violata. Avrà contato l’effetto emulativo, per chi riteneva di avere problemi irrisolvibili altrimenti? Avrà inciso pure la eco che i mass media hanno inevitabilmente riversato su tutti noi che ascoltavamo la cronaca di quei giorni? Soltanto coloro che hanno compiuto simili atti criminosi lo sanno. In tutto ciò, il rischio più concreto è che, al reiterarsi di tali incresciosi eventi, ci si possa in un qualche modo assuefare e che i ragazzi di oggi – i genitori di domani – non se ne stupiscano più. E questo, la nostra società non lo può permettere.

Emanuela Susmel

(LucidaMente, anno X, n.109, gennaio 2015)

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